Uso strategico del silenzio: quando tacere è scrivere meglio
- Gerardo Fortino
- 27 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Uso strategico del silenzio: la verità non sempre grida, a volte sussurra
Uso strategico del silenzio. Tre parole che nella scrittura non fanno solo figura, ma costruiscono intere architetture di senso. In un mondo letterario che corre, che parla, che spiega, c'è ancora bisogno di chi sa fermarsi. Di chi capisce che, a volte, il non detto pesa più di un discorso intero.
Il silenzio nella narrazione è come una pausa in un interrogatorio: è la breccia da cui scappa la verità. Non è vuoto. Non è mancanza. È scelta. E come ogni scelta, è carica di conseguenze.
Come si usa davvero il silenzio nella scrittura narrativa
Il silenzio è uno spazio pieno, non un vuoto da riempire
Il silenzio narrativo è un gesto consapevole: è quando il personaggio tace perché sa, perché teme, perché calcola. Non si tace mai per caso. Un protagonista che resta muto davanti a una domanda è più eloquente di cento pagine di spiegazioni.
Lei gli chiese: 'Perché?'. Lui si aggiustò il cappotto. Guardò lontano. Non rispose.
Quel silenzio dice tutto: dice vergogna, dice paura, dice colpa.
Il silenzio è uno strumento di ritmo
Intervallare dialoghi serrati con pause, descrizioni sospese, momenti di muta osservazione è come dare respiro al testo. È là, in quelle pause, che il lettore può pensare, può sentire.
Il silenzio è una maschera e una confessione
Chi tace nasconde. Ma chi tace troppo, rivela. Nel gioco narrativo, dosare il silenzio è dosare la tensione. È tenere il lettore sul filo, è farlo dubitare di ciò che sa e di ciò che pensa di sapere.
Esempi di uso strategico del silenzio che lasciano il segno
Esempio:
Nella letteratura di Leonardo Sciascia, il silenzio è arma e verità. I suoi personaggi tacciono non perché ignorano, ma perché sanno troppo. Il silenzio è omertà, è paura, è intelligenza.
In "Il giorno della civetta", più che le risposte dei testimoni, sono i loro silenzi a raccontare la mafia. Nessun urlo, nessuna scena madre: solo sguardi che sfuggono, frasi monche, pause che valgono più di mille parole.
"Il maresciallo domandò. L'altro guardò il pavimento. Non disse nulla."
In quel silenzio c'è già tutta la sentenza.
Scrivere bene significa anche sapere quando fermarsi. Quando lasciare il lettore davanti a una porta chiusa, senza chiavi. Quando farlo camminare nel dubbio, senza la sicurezza di una spiegazione.
L'uso strategico del silenzio non è abbellimento. È onestà narrativa. Perché la vita vera è piena di domande senza risposte. E la buona letteratura, quella che resta, ha il coraggio di non inventarne.
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