
Il ritratto della caduta: un libro necessario
Shah-in-Shah non è solo un libro, ma un’immersione totale nella fine di un’era. Ryszard Kapuściński non racconta semplicemente la rivoluzione iraniana del 1979, la smembra, la ricostruisce, la seziona attraverso una scrittura capace di evocare il destino ineluttabile di ogni regime totalitario. Leggere Shah-in-Shah significa trovarsi al cospetto della Storia, senza filtri, senza compromessi.
Lo stile: un reportage che diventa letteratura
Kapuściński non è un cronista. Non è nemmeno, come spesso si dice, un reporter. È un narratore che utilizza la realtà come strumento per scrivere epica contemporanea. La sua prosa è asciutta, chirurgica, con momenti di improvvisa esplosione lirica. Le scene che descrive – il lusso opulento dello scià, l’ombra dei bazar, i volti intransigenti degli ayatollah – si muovono tra realismo e simbolismo. Un approccio che lo avvicina ai grandi scrittori europei, ma con una precisione giornalistica che solo i migliori reporter possiedono.
Il potere e la sua dissoluzione
Ogni grande opera su un regime dittatoriale parla di potere. E ogni grande opera sulla caduta di un regime racconta la dissoluzione dell’ideologia. Shah-in-Shah è il ritratto di una parabola: il potere che diventa paranoia, la forza che si trasforma in paura, il regime che precipita nel caos. È il riflesso di ogni dittatura, che sia quella dello Scià o di qualsiasi altro autocrate. Per questo il libro di Kapuściński è universale: non è un reportage sull’Iran, ma un trattato sulla fine di tutti i regimi.
Perché leggere oggi Shah-in-Shah?
Se il giornalismo si è svuotato della sua funzione più alta, se la letteratura fatica a intercettare il reale, allora Shah-in-Shah resta una bussola. È il libro da leggere per chi vuole capire i meccanismi del potere, per chi cerca una scrittura capace di unire analisi politica e poesia, per chi vuole trovare nelle pagine di un reporter il senso profondo della Storia.
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