Norme redazionali: se non le conosci prima, non sei un ghostwriter. Sei un turista.
- Gerardo Fortino
- 21 mar
- Tempo di lettura: 3 min

Norme redazionali: la sacra legge non scritta (ma scrivibilissima) del ghostwriter professionista
Scrivere per sé è una cosa. Scrivere per gli altri è un’altra. La prima è masturbazione, la seconda è chirurgia.
Se sei un ghostwriter e ti avvicini a una casa editrice senza aver chiesto le norme redazionali, sei come uno che si presenta a un duello con un cucchiaino da tè. Forse ti salverai per pietà. Ma non ci conterei troppo.
Una casa editrice che si rispetti – non una stamperia improvvisata né un’agenzia con un sito fatto su WordPress e tre recensioni false – ha sempre una cosa: linee guida editoriali. Regole scritte. File PDF con parole che fanno da paletti, da binari, da freni. Chiamale come vuoi. Ma non ignorarle.
Il ghostwriter scrive, ma non firma. Non dimenticarlo mai.
Se pensi che il tuo stile sia sacro, vai a scrivere poesie nei bar.
Se invece stai scrivendo per una persona che ti paga, devi diventare quella persona.
E allora ecco che entrano in scena le norme redazionali. Quelle vere. Quelle che ti dicono:
che il cliente usa “lei” anche con sua madre, quindi tu non puoi dargli del “tu” in mezza riga;
che non vuole avverbi a pioggia (niente “stranamente”, “misteriosamente”, “inevitabilmente”);
che la narrazione deve essere cronologica, lineare, senza salti mentali da intellettualoide frustrato.
Esempio concreto: Stai scrivendo la biografia di un imprenditore. Tu ci metteresti una scena iniziale forte, tipo “Lui era lì, col bicchiere in mano e il mondo a pezzi.” Ma le linee guida dicono: inizia sempre con una data, un luogo, un fatto reale. Niente cinema. Niente fronzoli.
Quindi quel tuo incipit, poeticamente dannato, va tagliato. Punto.
Le case editrici serie ti danno un manuale. Le altre ti danno rogne.
Una casa editrice seria ti manda un file. Magari si chiama “Norme redazionali 2023”. Dentro ci trovi:
struttura del testo (capitoli, paragrafi, sottotitoli);
limiti di lunghezza (minimo 30.000 parole, massimo 40.000, e non una in più);
font e formattazione (niente Comic Sans, grazie a Dio);
uso delle note (a piè di pagina, mai nel corpo);
riferimenti bibliografici (stile Chicago, MLA o APA, mica a caso);
toni vietati (“non vogliamo testi autocelebrativi, né paternalisti”).
Esempio concreto: Ti commissionano un libro motivazionale per un coach aziendale.
Tu cominci a scrivere con toni tipo:“La vita è una giungla e tu sei il leone. Ruggisci.”
Le norme redazionali, però, vietano slogan da palestra. Vogliono uno stile sobrio, documentato, con esempi aziendali reali. Quindi il leone lo chiudi in gabbia, e impari a citare Peter Drucker.
Non rispettare le regole significa rallentare tutti. E farti odiare.
Il manoscritto passa dalle tue mani a quelle di un editor, poi a un redattore, poi a un impaginatore, e infine a una tipografia. È un lavoro a catena. Se tu sei il primo a fare casino, il resto della squadra si incazza.
Esempio concreto:
Se le linee guida ti dicono di usare i capoversi rientrati e tu invece vai a capo con una riga vuota ogni volta, l’impaginatore bestemmia. L’editor ti rimanda tutto. Tu perdi giorni. Il cliente si spazientisce. Il libro slitta. Il tuo nome finisce in una lista nera.
È anche una questione di etica. Sì, proprio quella roba noiosa lì
Il ghostwriter non deve solo scrivere bene. Deve rispettare una voce, una visione, un mestiere. Scrivere senza regole è un atto di ego. Scrivere dentro i confini delle norme è un atto di rispetto. E se non sai stare dentro quei confini, allora forse non sei un professionista. Sei solo uno che scrive.
Se ti chiamano per scrivere un libro, non chiedere solo quanto ti pagano.
Chiedi: "Avete le norme redazionali?”
E se non ce le hanno, rispondi: “Allora chiamate un altro. Uno senza mani.”
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