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Il Bajaji: un viaggio al cardiopalma nel cuore di Dar Es Salaam

  • Immagine del redattore: Gerardo Fortino
    Gerardo Fortino
  • 23 mar
  • Tempo di lettura: 4 min

Bajaji
Immagine generata con AI

Bajaji: Origini di un’icona su tre ruote


Immaginate di essere a bordo di un piccolo veicolo a tre ruote, parente stretto delle nostre affezionate apette italiane, ma con un nome esotico che suona già come una promessa di avventure: Bajaji (o tuk tuk, se preferite, come lo chiamano in Kenya, India e Thailandia). Ogni corsa in Bajaji è un’esperienza che non solo tocca l’anima, ma mette alla prova anche la vostra spina dorsale. Questi mezzi ronzanti, oggi simbolo dinamico e coloratissimo delle città africane, dominano in particolar modo le strade di Dar Es Salaam. E, fidatevi, salire su un Bajaji non è semplicemente un modo di spostarsi da un punto A a un punto B: è un’immersione nelle pulsazioni stesse della città, con quel pizzico di follia che solo un tre ruote guidato da un aspirante acrobata può regalare.


Immaginate ancora di essere seduti su uno di questi rumorosi bolidi urbani, mentre lo skyline di Dar Es Salaam si trasforma in un caotico palcoscenico di suoni e colori. Ogni corsa è una giostra di emozioni: un mix perfetto di adrenalina e… puro terrore. Il traffico somiglia a un puzzle tridimensionale dove tutti i pezzi lottano per incastrarsi come possono, ma per il Bajaji non c’è problema: lui avanza con la sicurezza di un trapezista. È capace di scavalcare marciapiedi – o almeno quella vaga parvenza di marciapiede – e di sorvolare dossi come se stesse partecipando a un rodeo. Ogni sobbalzo ha la grazia di un piccolo infarto e ogni manovra pare una danza tra il possibile e l’impossibile, al ritmo incessante di un clacson che, a confronto, la tromba del Giudizio Universale suonerebbe timida.


Non ci sono ostacoli che tengano: se svoltare a destra pare un miraggio, ecco che si passa dove capita – magari tra i pedoni stanchi di fine giornata, ognuno con la sua storia e la sua voglia di tornare a casa. Intanto, voi, ignari passeggeri, vi chiedete se mai un Bajaji sia precipitato in uno di quei canali di scolo pieni di acqua putrida. Il pensiero è agghiacciante, ma viene subito rimpiazzato dalla prossima curva a gomito presa come se stesse girando in un circuito di Formula 1.


Mentre sfrecciate per le vie di Dar, la mente viene sopraffatta da una girandola di odori: pollo alla brace che vi solletica il naso, street food di ogni genere che vi spinge a rivedere la dieta, e poi magari un effluvio indefinibile che, per il vostro olfatto, diventa un mistero degno di un thriller. In più, ci si mette pure la signora profumata che passa così vicina al Bajaji da poterle stringere la mano (o chiedere un autografo, se solo sapeste chi è). È un vortice di sensazioni che, proprio come la vita, talvolta riserva note pungenti e altre volte fragranze dolcissime da volerne ancora e ancora.


A bordo di un Bajaji, il concetto di spazio non esiste. Vi sembra di essere in un videogioco di Tetris in cui, miracolosamente, si trova sempre un buchetto perfetto in cui incastrarsi, salvo poi scoprire che la città non ha nessuna intenzione di rallentare per voi. Ma ecco la parte migliore: con meno di 6000 TSH potete andare praticamente ovunque, liberi di immergervi in questa avventura urbana senza troppi complessi di colpa (il portafoglio, almeno, ringrazia).


Nel frattempo, la vostra mente vola su chi incontrate nel tragitto. Vedete i volti stanchi dei lavoratori che hanno trascorso la giornata tra sudore e speranze, le donne dalle trecce lunghissime che si confondono tra i giovani più “smart” e dinamici. Dal 2017 a oggi, la città ha cambiato volto: il nero della sua tradizione si è mescolato al bianco degli investimenti cinesi, così, ora, i grattacieli e i casinò svettano dove un tempo c’erano solo baracche di fango e lamiera. In questa modernità galoppante, potete persino imbattervi in un Apple Store (o in una pizzeria italiana che magari fa l’impasto con la farina importata via cargo).


Eppure, il Bajaji resta l’icona inossidabile di un Paese che muta velocemente, ma che conserva la sua anima. Mentre riflettete, sperate ardentemente che il cambiamento avvenga con la lentezza giusta per non perdere quell’essenza africana che vi ha catturato il cuore. Avete visto cose brutte, certo, ma sentite che non riuscireste a fare a meno di questa terra, un po’ come quando non si può rinunciare a un’ottima notte di passione: più ne avete, più ne volete.


E così, avvolti dalla polvere che si solleva ad ogni sobbalzo e dallo sguardo stanco del vostro autista che cerca di guadagnarsi la giornata, capite quanto questa città – e l’Africa intera – vi siano entrate dentro. Il Bajaji, alla fine, vi porterà a destinazione, oppure in qualsiasi luogo desideriate, con la stessa determinazione di una freccia scoccata da un arciere preciso e un tantino spericolato.


Le Origini del Bajaji


Ma da dove nasce questa creatura rombante a tre ruote? È sorprendente scoprire che le sue radici affondano nel Giappone degli anni ’30, quando vennero introdotti i primi veicoli a tre ruote pensati per le strade urbane. Piccoli, economici, pratici: un’idea che si diffuse rapidamente in tutta l’Asia, trovando terreno fertile in paesi come la Thailandia e l’India, dove presto divennero parte integrante del paesaggio cittadino. In Africa, e in particolare in Tanzania, questi veicoli – ribattezzati Bajaji – hanno assunto un ruolo fondamentale nel trasporto quotidiano, diventando un simbolo di mobilità accessibile e di ingegnosità urbana.


Il loro design compatto e la capacità di zigzagare nelle strade affollate di Dar Es Salaam – tra buche, dossi e canali di scolo – li hanno trasformati in emblema di adattabilità e resilienza. E forse è proprio questo che, nonostante ogni sobbalzo e schianto di clacson, ci fa sentire di voler risalire su un Bajaji ancora e ancora. Con il cuore in gola, sì, ma anche con un sorriso un po’ incosciente, come se stessimo partecipando a una scorribanda degna del miglior film tragicomico. Del resto, se fosse tutto normale, non sarebbe Africa… e non sarebbe un viaggio che scolpisce l’anima a colpi di sospensione e adrenalina.


 

Questo è un racconto che ho scritto alcuni mesi fa, nel luglio 2024, mentre mi trovavo a Dar es Salaam per lavoro. Amo profondamente quella città.


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